Cultura
PER LA FESTA DI SAN RANIERI
Ogni anno il 17 di giugno a Pisa si festeggia San Ranieri Patrono della città ed in suo onore la sera del giorno precedente si rinnova la tradizionale "luminara".
Tutti i cittadini di Pisa ne conoscono l'origine e partecipano con entusiasmo alla festa che rende i lungarni uno spettacolo di luci e di suoni culminanti in un susseguirsi di spettacolari fuochi d'artificio
Noi, nell'approssimarsi della festa, vogliamo qui ricordare a tutti una tradizione secolare e la devozione per un Santo di cui già è stato scritto in questa sede nella pagina dedicata alla Storia.
La Luminara di San Ranieri
Il 25 marzo 1688, nella cappella del Duomo di Pisa, intitolata all'Incoronata, situata nel braccio destro del transetto meridionale del Duomo, Cosimo De’ Medici fece collocare l’urna di marmo verde, opera di Gian Battista Foggini, contenente il corpo di Ranieri degli Scaccieri, Patrono della città.
Questo santo nacque a Pisa nel 1118; il padre si chiamava Gandolfo Scacceri ed era un ricco mercante pisano.
A diciannove anni, in seguito all’incontro nel monastero benedettino di san Vito con un eremita di nome Alberto, Ranieri abbandonò un vita piena di frivolezze per vivere in povertà.
Dopo aver trascorso alcuni anni in Terra Santa, Ranieri tornò a Pisa dove morì nel 1160.
Si dice che alla sua morte tutte le campane di Pisa suonassero da sole contemporaneamente.
Per il trasferimento dell'urna venne organizzata una memorabile festa cittadina, durante la quale la città venne illuminata da migliaia di lumini.
L'idea di celebrare una festa illuminando la città con lampade ad olio era una consuetudine che risale al Medioevo.
Il primo documento storico attestante questa tradizione risale al 1337.
Da allora la Luminara venne realizzata in altre solenni occasioni, non necessariamente legate al culto del patrono: per il carnevale del 1539; nel 1662 in occasione del passaggio a Pisa di Margherita d’Orleans sposa di Cosimo III che si recava a Firenze.
Nata come illuminazione delle finestre delle abitazioni per il passaggio dei cortei o processioni, la Luminara, nel XVIII secolo si trasformò in una scenografia architettonica che veniva applicata alle facciate degli edifici, talvolta con forme originali che trasformavano il lungarno in uno scenario architettonico con effetti fantasmagorici.
La Luminara venne abolita nel 1867 e ripristinata nel 1937 in occasione della ripresa del gioco del Ponte.
Sospesa durante la seconda guerra mondiale, fu di nuovo allestita nel 1952.
Nel 1966 la violenza dell’alluvione che provocò il crollo del ponte Solferino e alcuni tratti del lungarno fecero interrompere questa festa tradizionale che venne ripresa nel 1969.
Ogni anno circa 100.000 lumini vengono posti su telai in legno, chiamati biancheria, che decorano le architetture di chiese, palazzi e torri dei lungarni pisani.
Per l’occasione la Torre pendente viene illuminata con padelle ad olio, collocate anche sui merli delle mura urbane, nel tratto che circonda Piazza dei Miracoli.
Per illuminare le facciate degli edifici sui lungarni, vengono usati circa 100.000 lumini con fiamma molto bassa e resistente al vento.
I lumini venivano inseriti in speciali bicchieri di vetro, che nel 1999 vennero sostituiti da contenitori in plastica trasparente di forma conica adatti agli anelli di metallo della biancheria.
Intorno a mezzanotte la festa si conclude con fuochi di artificio sparati dalla Cittadella e da alcune piattaforme galleggianti sulla superficie dell’Arno.
ALLA RICERCA DELLA BIBLIOTECA PERDUTA
Ovvero la Biblioteca Universitaria Pisana
Il titolo di questo elaborato ricalca volutamente quello di un noto film con protagonista Indiana Jones impegnato nella ricerca della perduta “Arca dell’Alleanza”.
In questo caso si tratta di andare alla ricerca di una prestigiosa Biblioteca che, ormai da anni, ha perso la sua collocazione e sembra doveroso impegnarsi nella speranza di ritrovarla e ricollocarla nella sua completezza.
Esisteva e forse esiste ancora, come ufficio e nominalmente in Pisa, la Biblioteca Universitaria Pisana dotata di almeno 600.000 (seicentomila) volumi conservati nei locali del Palazzo della Sapienza”, oltre ad avere in dotazione anche la raccolta di ben 16.000 (sedicimila) volumi “galileiani” conservati nella “Domus Galileiana”.
Questo patrimonio culturale di Pisa e della Nazione Italiana è venuto a formarsi nella sua completezza a cominciare dal 1743, grazie al lascito voluto dal giurista e fisico sperimentale Giuseppe AVERANI.
Questi, con il suo definitivo testamento nel 1736 dispose il lascito di circa 2000 volumi della sua libreria a favore dell’Università di Pisa dove aveva insegnato per oltre 50 anni, con la condizione che venissero resi pubblici a beneficio di studiosi, professori e studenti dell’Università (Mauro Bernardini, seminario internazionale, 11, 12, 13 ottobre 2007 Pisa).
Da questo primo nucleo, tralasciando le traversie che nel tempo hanno caratterizzato il consolidamento della struttura bibliotecaria, grazie ad ulteriori acquisizioni e donazioni, si è giunti, nel tempo, alla formazione della BUP ed alla sua collocazione nel Palazzo della Sapienza”.
Tra le donazioni è da menzionare quella che nel 1879 fece l’insigne penalista lucchese Francesco Carrara della sua biblioteca, costituita da circa 7000 edizioni di carattere prevalentemente giuridico, con la clausola che rimanesse permanentemente nella Biblioteca Universitaria Pisana senza mai uscirne e che i volumi fossero e rimanessero tutti collocati nello stesso comune ambiente, senza venire dispersi, per mantenere l’uniformità della raccolta donata.
A proposito del Palazzo della Sapienza, fu Lorenzo il Magnifico ad iniziare dal 1489 la costruzione dell’edificio in Piazza del Grano; al piano terreno dovevano essere ubicate le aule delle lezioni e al piano superiore gli alloggi di studenti e professori.
Il palazzo, però, per le vicende politiche e sanitarie del tempo, fu terminato solo a metà secolo seguente quando Cosimo I dei Medici fece riaprire in via definitiva lo studio di Pisa con sede appunto nella Sapienza.
Fu tra il 1819 al 1824 che la Biblioteca Universitaria, fino ad allora era collocata in alcuni locali di via Santa Maria e di Piazza dei Cavalieri, vi venne trasferita e dove, alla propria dotazione libraria, vennero aggiunte anche altre biblioteche di conventi soppressi in età napoleonica.
Da fine ottocento, la Sapienza rimase la sede esclusiva del Rettorato, della Biblioteca Universitaria e della Facoltà di Giurisprudenza.
É cosi che, nel corso del tempo, si è venuta a formare una prestigiosa Biblioteca Universitaria a Pisa che al momento è dotata di un patrimonio culturale unico ed inestimabile sia per il valore storico che per il valore intrinseco della sua enorme collezione che ha richiamato nel tempo la presenza di eccelsi e numerosi studiosi che vi hanno attinto conoscenza e sapere da tutto il mondo.
La sua stessa collocazione nel Palazzo della Sapienza ha avuto la consacrazione di patrimonio indiscusso della città di Pisa.
Pisa è la città dove la cultura e la conoscenza si sono insediate con ben tre prestigiose Università: Università di Pisa, Scuola Normale Superiore e Scuola Superiore S. Anna.
L’Università di Pisa è una delle più antiche e prestigiose università in Italia e in Europa, è stata istituita ufficialmente nel 1343, anche se diversi studiosi fanno risalire la sua origine all’XI secolo. È comunque certo che a partire dalla metà del XII secolo Pisa ebbe una "Universitas" nel senso originale del termine.
La bolla "In Supremae dignitatis", emessa da Papa Clemente VI il 3 settembre 1343, concesse allo Studio pisano il riconoscimento di Studio Generale e diversi privilegi esclusivi e universalmente riconosciuti. In epoca medievale, lo Studio Generale era un'istituzione di educazione superiore fondata o confermata da un'autorità universale, cioè dal papato o dall'impero. Pisa fu una delle prime città europee a poter vantare un'attestazione papale.
La Scuola Normale Superiore è una scuola superiore universitaria con sede legale a Pisa, nel Palazzo della Carovana dei Cavalieri di Santo Stefano.
L'istituto nacque grazie al decreto napoleonico del 18 ottobre 1810, relativo agli “stabilimenti di istruzione pubblica” in Toscana che stabilì l'istituzione a Pisa di un "pensionato accademico" per gli studenti universitari per creare una succursale dell'École Normale Supérieure di Parigi.
La Normale era riservata ai migliori alunni, di età compresa fra i diciassette e i ventiquattro anni, selezionati alla fine dei corsi liceali.
Il 28 novembre 1846, un Motu proprio granducale istituì la Scuola Normale Toscana, chiamata anche Imperial Regia Scuola Normale, poiché correlata al sistema austriaco. Il 15 novembre 1847, si inaugurò la nuova sede nel palazzo della Carovana in Pisa.
La Scuola Superiore S. Anna è un istituto pubblico di istruzione universitaria a ordinamento speciale con sede a Pisa. L'ente è riconosciuto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e opera al fine di favorire lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnologica, sia in ambito nazionale che internazionale.
Il conservatorio di Sant'Anna fu istituito dal granduca Pietro Leopoldo di Lorena nel 1785 e dopo un percorso che ha portato a confluire in esso altri collegi fino all’entrata in vigore della legge n. 117 del 7 marzo 1967, vi vennero riuniti diversi collegi in un unico ente, ovverosia la Scuola superiore di studi universitari e di perfezionamento.
Tra il 1975 e il 1979 la scuola fu trasferita nella sede di piazza Martiri della libertà.
Nel 1987, le suore del conservatorio acconsentirono alla cessione dell'immobile alla Scuola, purché restasse intitolato a Sant'Anna; pertanto, rifacendosi alla vicina Scuola Normale, fu costituita la Scuola Superiore di Studi Universitari e Perfezionamento Sant'Anna.
Il nuovo ente, che al contempo aveva allestito la biblioteca, godeva di una propria personalità giuridica e di autonomia disciplinare e amministrativa.
Dal 2014 la Scuola fa parte, assieme all'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia, delle Scuole Universitarie Federate, cui si è unita nel 2017 anche la Scuola Normale Superiore di Pisa.
Questo breve richiamo alle eccellenze didattiche che insistono in Pisa giustifica ampiamente la presenza di una Biblioteca Universitaria storicamente collocata nel Palazzo della Sapienza a disposizione della città, degli studenti, dei docenti, degli studiosi e di quanti desiderino ampliare la propria conoscenza.
La Biblioteca Universitaria Pisana (BUP), da quando è stato istituito il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBACT) 1974, è alle dipendenze di questo Ministero e, da quando il Palazzo della Sapienza è stato ceduto dal Demanio all’Università Pisana, occupa i locali rimasti in assegnazione al MiBACT proprio a tale esclusivo uso.
E tutto sembrerebbe correlato, ben organizzato e organicamente utile ai fini culturali della struttura sociale ed universitaria della città
Peccato che la situazione contemporanea ci porti a conoscenza che dal 2017, di fatto, la BUP, come conservazione e consultazione del patrimonio librario e documentale, non ha più un luogo di destinazione.
La cronaca ci dice che dal 29 maggio 2012 a seguito della scossa di terremoto in Emilia cha ha fatto sentire i suoi effetti, se pur ridotti, anche a Pisa, sono iniziate le traversie correlate alla struttura stessa del Palazzo della Sapienza.
Una serie di sopralluoghi successivi e valutazioni, a volte collegate ad esigenze di natura politica, hanno suggerito la chiusura dello stabile al pubblico e successivamente alle attività in esso svolte.
Tali esigenze hanno portato anche alla considerazione soggettiva dell’incidenza del peso dei 600.000 volumi della BUP sulla resistenza delle strutture connesse.
Non è intenzione attuale ripercorrere l’iter delle attenzioni che la problematica ha richiesto e giungiamo meglio alla conclusione che la BUP è stata di fatto smantellata ed il suo contenuto ricollocato, in parte presso un immobile del complesso di San Matteo in Soara (2014), una parte considerevole presso l’Archivio di Stato di Lucca ed altre parti, non meglio definite, in diversi spazi affittati in città con i relativi onerosi costi.
Certamente va sottolineato che sono presenti nei vari Atenei delle biblioteche loro dedicate ma sono aperte e consultabili solo dagli iscritti e comunque non rappresentano quell’unicum culturale proprio ed esclusivo dalla BUP che integrava ed integra ampiamente il complesso bibliotecario pisano supportando anche una Biblioteca Comunale lontana dal centro, con poche dotazioni ed abitualmente chiusa.
Oltre a ciò, la Biblioteca Universitaria Pisana risulta essere l’unica in Italia titolare “per Diritto di Stampa” a ricevere tutto ciò che viene pubblicato, dal saggio poetico al trattato, dalla rivista alle monografie, mettendo così a disposizione del pubblico una enorme messe di conoscenza e di sapere.
È chiaro quindi il valore sociale e culturale che questo storico Ente rappresenta per la comunità tutta, mentre, attualmente, la sua funzione si limita alla pura conservazione in strutture inadatte.
Vale comunque rimarcare che esiste l’impegno di persone che con passione o nelle funzioni proprie si dedicano a continuare la storia e/o a programmare potenzialità funzionali ed operative per quando la BUP sarà restituita alla sua collocazione.
Con ciò, lungi dal voler prevaricare le responsabilità e le competenze di quanti vi siano interessati, si spera che questa semplice relazione stimoli le amministrazioni locali a perseguire, con rinnovata convinzione ed interesse, la volontà di salvare e recuperare un insostituibile patrimonio intrinseco, storico e culturale della comunità pisana e nazionale, restituendolo alla sua storica e prestigiosa collocazione che merita.
ALESSANDRO MANZONI E NAPOLEONE BONAPARTE
Oggi 5 maggio
non si può non pensare all'ode scritta da Alessandro Manzoni proprio su questo giorno.
Ma per quale motivo Alessandro Manzoni ha dedicato una poesia a questo giorno?
Manzoni l'ha scritta per omaggiare la figura di Napoleone Bonaparte morto proprio il 5 maggio del 1821.
Lo scrittore italiano aveva incontrato il generalissimo all'età di quindici anni, al teatro alla Scala e, come ci dice l'enciclopedia libera Wikipedia:
"Manzoni rimase colpito dal suo sguardo penetrante («i rai fulminei» al verso 75 dell'ode) e dal magnetismo emanato dalla sua persona, in cui riconosceva l'artefice del trapasso da un’epoca storica a un’altra; ciò malgrado, egli non manifestò né plauso né critica nei confronti di questa figura di condottiero, a differenza di altri poeti suoi contemporanei (quali Ugo Foscolo e Vincenzo Monti).
Dopo aver appreso l'inaspettata e tragica notizia, il poeta, colto da improvviso turbamento, si immerse in una profonda meditazione di carattere storico ed etico, conclusasi quando - sempre leggendo la Gazzetta di Milano - seppe della conversione di Napoleone, avvenuta prima del suo trapasso.
Egli fu profondamente commosso dalla morte cristiana dell'imperatore e, preso quasi da un impeto napoleonico, compose di getto il primo abbozzo di quello che sarà Il cinque maggio, in soli tre giorni (la gestazione dell'opera, iniziata il 18 luglio, fu conclusa il 20), con una rapidità decisamente estranea al suo temperamento riflessivo".
"5 MAGGIO"
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
5 così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
10 orma di piè mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
15 quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sonito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
20 e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al subito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.
25 Dall’Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
30 dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
35 del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d’un gran disegno,
l’ansia d’un cor che indocile
40 serve pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
45 la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
50 l’un contro l’altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s’assise in mezzo a lor.
55 E sparve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
60 e d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l’onda s’avvolve e pesa,
l’onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
65 scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell’alma il cumulo
delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
70 narrar sé stesso imprese,
e sull’eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d’un giorno inerte,
75 chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
80 tende, e i percossi valli,
e il lampo de’ manipoli,
e l’onda dei cavalli,
e il concitato imperio,
e il celere ubbidir.
85 Ahi! Forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo
e in più spirabil aere
90 pietosa il trasportò;
e l’avviò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
95 dov’è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
scrivi ancor questo, allegrati;
100 ché più superba altezza
al disonor del Golgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
105 il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Toponomastica e Strata Vallis Arno
Da ipotesi sulle piante catastali alcuni studiosi hanno identificato la Via di Mezzo Nord con l’antica STRATA VALLIS ARNI, che da Pisa conduceva a Cascina.
Fu aperta dai Romani per il controllo del territorio, ormai conquistato ed occupato, e doveva seguire l’andamento del fiume Arno, lungo il quale avevano approdi per caricare e scaricare materiale e merci provenienti dal Porto Pisano della città di Pisa, diventata COLONIA JULIA OBSEQUENS.
La prova che Via di Mezzo Nord sia l’antica Strata Vallis Arni, è inoltre data dal fatto che alcune ville signorili che si affacciano su di essa abbiano la facciata rivolta verso Nord, mentre altre che si affacciano sul tracciato della medesima strada, abbiano la facciata rivolta verso Sud. Entrambi i tipi sono dunque eredi di Ville-Fattorie Romane, che controllavano tanto il territorio ad esse assegnato quanto la strada che doveva essere percorsa dai Legionari Romani ancora in servizio. Come tipo edilizio la villa di residenza signorile era già conosciuta dagli Egizi ed ebbe grande diffusione nella Società Romana; per assumere poi carattere fortificato nel Medioevo e monumentale nei secoli XV e XVI. Nel ‘500 la maggior parte delle ville fu arricchita dal giardino e riprese il modello della Villa Palladiana mentre alcune strutture architettoniche furono ristrutturate, secondo nuove concezioni, nel Settecento.
Tornando a Via di Mezzo Nord c’è da aggiungere che termina a San Frediano a Settimo, proprio alla sponda dell’Arno, con un andamento quasi rettilineo, da dove si collega alla strada Tosco- Romagnola attuale , che ripercorre così l’andamento della strada romana
L'attribuzione dei toponimi ai paesi situati lungo la via romana veniva fatta in base alle distanze in miglia romane dalla città di Pisa ed ancora oggi ne è la prova: Quinto è identificabile con Casciavola, Sesto dove sorge la Pieve di San Cassiano, Settimo con San Benedetto a Settimo, Ottavo ad ovest di Cascina, dove sfociava il fiume Cascina, Nono ad est di Cascina e Tredici fra Vicopisano e Calcinaia.
Palazzo Alla Giornata
Il Palazzo alla Giornata sui Lungarni , deve il suo nome ad un episodio particolare tramandato dalle leggende pisane.
Anticamente il ricco proprietario, esponente della nobiltà pisana, aveva a suo servizio un bravissimo uomo catturato durante una delle tante imprese pisane. Era stato fatto prigioniero e fu assegnato a lui. Venne dunque a stabilirsi a Pisa nella dimora del suo padrone, passarono gli anni e lo schiavo era sempre fedele, preciso ed ubbidiente. Un giorno disse al padrone che aveva bisogno di parlargli, questi allora lo chiamò e gli disse di esporgli il problema. Lo schiavo disse: “ Quando potrò essere libero? “ ed il padrone rispose: “ Ti accontento Il GIORNO IN CUI DI VENERDI’ SI POTRA’ MANGIARE CARNE TI LIBERERO’”. Erano tutti molto religiosi ed un tempo tutte le famiglie, per tutto l’anno, il venerdì non mangiavano carne essendo il giorno della morte di Gesù. Quell’anno Il Santo Natale,25 dicembre, accadde di venerdì e si poté mangiare carne. A casa del nobile fu festa grande, lo schiavo fu liberato e la catena che portava al piede fu appesa all’arco della porta in ricordo di ciò. Il palazzo porta pertanto il nome ALLA GIORNATA in memoria di quell’evento.
MADONNA DI SOTTO GLI ORGANI
La storia, così come mi è stata raccontata, della MADONNA DI SOTTO GLI ORGANI
In un ricco e sontuoso palazzo dei nostri lungarni viveva una nobile famiglia con molti dipendenti fra i quali una bravissima cameriera. Fra le ricchezze possedute c’era un quadro rappresentante la Santa Vergine, quello ora denominato La Madonna di sotto gli organi. Un giorni molto infausto il palazzo il palazzo andò a fuoco, fortunatamente nessuno dei proprietari era in casa, l’unica persona che vi si trovava era la cameriera sopracitata. Si trovava all’ultimo piano, le fiamme ormai divampavano ovunque e lei disperata corse a prendere il quadro della Santa Vergine e, affacciandosi alla finestra, scavalcò la balaustra dicendo alla Santa Immagine: “ Salvami” e si gettò di sotto. Arrivò sana e salva a terra, non aveva neppure una graffio Maria l’aveva protetta ed il quadro, ritenuto miracoloso, fu posto nella nostra Cattedrale.
La tomba del Principe
Alla prima periferia di Pisa, in via S. Iacopo, si trova la Tomba del Principe, presumibilmente il più grande tumolo etrusco mai scoperto. Dai reperti trovati è risultata essere il tumolo di una tribù marittima, del periodo etrusco-latino. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che potesse essere la tribù dei Latini che aiutarono Enea, proveniente da Troia, quando sbarcò e dovette affrontare in scontro armato i Rutuli con il loro re Turno. A seguito dell’alleanza Enea ottenne in sposa Lavinia, figlia del re dei Latini che prima era stata promessa sposa proprio a Turno, per cui la guerra continuò ma Turno fu definitivamente sconfitto. Dopo la morte di Enea, Lavinia continuò a regnare sui Latini..
Da Ascanio Iulo, figlio di Enea e Creusa, la tradizione fa discendere la gens Iulia, alla quale apparteneva Gaio Giulio Cesare.
Attorno al tumulo sono inserite una serie di pietre verticali, le più alte indicano sepolture di uomini adulti, le più basse di adolescenti o bambini, le medie di donne.